Distruzione in Miniatura

Jason McKenzee era un ragazzo come tanti altri. Viveva con la sua famiglia in una graziosa cittadina del Nebraska, Living Valley.

La sua giornata cominciava come quella di tutti i ragazzi della sua età: si alzava abbastanza presto, faceva colazione, e con lo Scuola-Bus che si fermava proprio di fronte casa sua, guidato da un amabile giovanotto dai biondi capelli lunghi, si recava alla Living High-School. Dopo le lezioni tornava a casa, faceva i compiti che gli erano stati assegnati e, quando aveva tempo, si dedicava al suo hobby preferito: costruire riproduzioni di scenari di guerra nello scantinato di casa.

Jason non era un ragazzo molto socievole, aveva pochi amici. Ben presto però, la sua vita solitaria sarebbe stata sconvolta per sempre.



Un giorno, dopo aver prima abbozzato uno schizzo su un foglio, iniziò a lavorare su un nuovo progetto: un campo di sterminio nazista. Questo era probabilmente uno dei progetti più ambiziosi al quale il ragazzino si fosse mai dedicato.

Prima di iniziare a costruire un nuovo modello, Jason si procurava sempre il materiale necessario alla bottega della città chiamata MagikBox, gestita da un vecchio signore di nome Kevin. Il suo negozio era il più fornito in quell’ambito, e Jason vi spendeva quasi tutta la sua paga settimanale.

Quel giorno, il ragazzo si diresse al negozio per comprare della colla e alcuni pezzi che gli mancavano.

«Ciao Kevin» esordì Jason entrando nella piccola bottega.

«Ecco il mio miglior cliente» rispose affettuoso il vecchietto. «Cosa ti serve oggi?»
«Un po’ di colla e alcuni carri armati.»
«Vado a prenderli nel retrobottega» disse il signore alzandosi dalla sedia.
«Ok» disse Jason, guardandosi intorno.

Mentre il vecchietto cercava i pezzi per Jason, il ragazzo iniziò a curiosare qua e là nel negozio. Accidentalmente fece cadere un grande recipiente di latta posto su uno scaffale.

Tonf! Un rumore secco echeggiò nel piccolo locale.
Il ragazzo si affrettò a rimettere tutto a posto prima del ritorno di Kevin. Mentre si chinava per raccogliere il barattolo, notò in fondo alla stanza una piccola porticina nascosta dietro un grande scaffale di legno. Incuriosito, Jason si incamminò verso la porta sorpreso perché non l’aveva mai notata. “Chissà cosa nasconde il vecchio Kevin lì dietro. Non credo se la prenderà se do una sbirciatina” pensò aprendo la porta.

Varcata la soglia, si ritrovò in quello che sembrava a prima vista un minuscolo magazzino. Accese la luce dall’interruttore vicino alla porta ed iniziò a curiosare. La sua attenzione fu colta da un oggetto che non aveva mai visto in vita sua: aveva l’aspetto di un piccolo uovo, ma il guscio era ricoperto di piccole vene gialle in rilievo. Incuriosito afferrò l’uovo e si mise ad osservarlo più da vicino.

«Trovato nulla di interessante?» bofonchiò una voce che proveniva dalla piccola porticina che dava nel magazzino.
Sorpreso, Jason nascose d’istinto l’uovo nella tasca posteriore del jeans.

«Signor Sheffrey...» balbettò imbarazzato «stavo solo…»
«Non devi giustificarti, tranquillo» lo rassicurò Kevin. «È solo che non voglio che i giovani ragazzi come te entrino in questo posto. Potrebbe accadere qualcosa di molto brutto.»

Jason non sapeva a cosa si riferisse il vecchio, vedendo su quei pochi scaffali solo oggetti che sembravano giocattoli dei tempi andati.

«Ok» disse Jason uscendo dal magazzino. «Lezione imparata.»
Dopo aver pagato e ritirato la sua merce, Jason si incamminò verso casa per mettersi subito a lavoro convinto che tutto fosse tornato alla normalità. Non poteva immaginare che quel giorno, da quel banale hobby, sarebbe nato qualcosa di così tremendamente macabro, che se ne sarebbe pentito per il resto della sua vita.



«Et voilà!» esclamò Jason felice dopo aver posizionato l’ultimo carro armato fuori dal cancello del campo di concentramento che stava costruendo. «Perfetto come sempre» si pavoneggiò abbozando un sorrisino.

Prima di aver iniziato a lavorare, Jason aveva tirato fuori dalla tasca lo strano uovo che aveva trovato nella bottega di Kevin e lo aveva appoggiato sul tavolo da lavoro.

«Bene, ora a nanna. E domani si dorme fino a tardi» si disse soddisfatto.
Nessuno avrebbe potuto pensare che qualcosa di orrendo stava per accadere quella notte.

Erano ormai passate le tre del mattino e Jason dormiva felice nel suo letto al piano superiore della casa. Intanto, nello scantinato, l’uovo che poche ore prima aveva introdotto in casa, iniziò a muoversi lentamente. Uno strano verso iniziò a fuoriuscire dal piccolo oggetto, e poco dopo delle piccole crepe comparirono sul fragile guscio. L’uovo si aprì di colpo a metà e ne sgattaiolò fuori un minuscolo animaletto simile ad una lucertola. Stranito, il piccolo animale, iniziò a camminare sul tavolo, attraversando il nuovo plastico costruito da Jason. Una luce color porpora si propagò dall’animale appena sfiorò dei soldati e un carro armato. Lo strano animale si lanciò poi dal tavolo e fuggì dalla piccola finestrella.

La mattina dopo, Jason tutto avrebbe potuto immaginare, meno quello che gli si presentò davanti.



Tump! Tump! Tump!

Jason aprì gli occhi ancora avvolto nelle coperte dei suo letto. Degli strani rumori provenivano dal piano di sotto. “Saranno mamma e papà” pensò.

Non sapeva di quanto si stesse sbagliando.

«Mamma, sei già sve…» Jason non fu capace di concludere la frase appena vide quello che gli si presentò davanti dopo essere entrato in cucina, ancora avvolto nel suo morbido pigiama a righe.

Tutti i mobili del soggiorno erano ridotti in macerie e un enorme buco sul muro faceva intravedere il marciapiede davanti casa.

«Ma cosa diavolo…» balbettò Jason con gli occhi fuori dalle orbite; non riusciva a capacitarsi per quello che vedeva.

D’istinto si fiondò nello scantinato, convinto che lì sarebbe stato al sicuro. Scese le scalette, ancora una volta Jason stentò a credere a quello che vedeva davanti ai suoi giovani occhi: un enorme carro armato si stagliava imponente nella stanza, occupando tutto lo spazio disponibile. Tutto quello che si trovava prima nello stanzino, ora non esisteva più, come se l'enorme cingolato fosse apparso dal nulla proprio in quella precisa posizione. Jason notò con sorpresa che non c’era nessun buco sulla parete, nessuna accesso dal quale il carro armato potesse essere entrato. Il suo viso si contorse quando notò, di sfuggita, un piccolo marchio sul lato destro della macchina da guerra: “ShadowsToys”.

«La marca che produce i pezzi per i modelli…» farfugliò incredulo.



Appena uscito di casa, Jason capì che le sorprese quel giorno erano appena cominciate.

L’intero quartiere dove viveva era devastato. Le persone correvano in preda al panico cercando rifugio dalla morte certa.

«Oh mio Dio…» disse incredulo Jason. «Non credo a quello che vedo.»
«Invece credici...» sussurrò un vecchio signore apparendo alle spalle del ragazzo. «Ti avevo avvertito!»
«Kevin!» esclamò sorpreso Jason. «Ma che sta succedendo qui?» chiese in preda al panico.
«Presumo che tu abbia rubato l’uovo marchiato dal magazzino» disse con tutta la calma come se non stesse succedendo nulla di particolare.
«Sì… cioè… ho preso un uovo ma non so cosa sia» farfugliò Jason. «È stato quell’uovo a provocare tutto questo?» chiese incredulo.
«Credo proprio di si» affermò l’uomo. «Ti avevo detto che potevano accadere cose orribili se si prendono quegli oggetti.»
«Ma io non sapevo… credevo fissero giocattoli» disse Jason.
«Bè in un certo senso lo sono» rispose Kevin. «Purtroppo però sono giocattoli viventi, e hanno tutti degli straordinari poteri.»
«Ad esempio?» chiese Jason.
«Bè, diciamo che…» Kevin si interruppe quando vide l’enorme carro armato uscire dallo scantinato della casa di Jason.
«Oh no!» esclamò il ragazzo voltandosi. «Ora distruggerà tutto!»
«Non è del tutto esatto» intervenne Kevin. «Distruggerà tutto e tutti» puntualizzò con una punta di sadismo.

Bum!

Il carro armato esplose un colpo radendo al suolo una piccola casa. I due scapparono, rifugiandosi in un vicolo.
«Dobbiamo tornare al negozio» disse Kevin. «È la nostra unica speranza.»



Poco distante da casa di Jason, un’intera pattuglia delle S.S. marciava per Perfection Street.

«Alt!» esclamò il generale. «Allora soldati, possiamo iniziare la missione. Radete al suolo tutto ciò che si muove, le truppe mobili si occuperanno degli edifici. Voglio vedere tanto sangue come fosse un fiume!»
«Signorsì!» esclamò all'unisono la pattuglia.
«Al lavoro!»

La piccola pattuglia composta dal generale e da quattro mitraglieri iniziò a sparare a vista d’occhio.
Nel quartiere, dopo appena un’ora, rimanevano una decina di persone ancora vive. Le case cadevano come castelli di carta al passaggio del carro armato. L’apocalisse era arrivata a Living Valley.

«Eccoci» disse Kevin entrando nel negozio accompagnato dal ragazzo. «Non sono ancora arrivati in questa zona.»
«Bene, ora che facciamo?» chiese Jason sconvolto per quello che stava succedendo.
«Cerchiamo di porre fine a tutto questo» disse incamminandosi verso il piccolo stanzino. «Lì dovrebbe esserci quello che fa al caso nostro.»

Entrati, Jason squadrò i vari oggetti sugli scaffali. «Io non vedo nulla» disse il ragazzo.
«Perché non stai guardando nella giusta direzione» rispose Kevin che intanto si era inginocchiato per terra e aveva spostato un piccolo tappeto che aveva rivelato una botola sul pavimento. «Entriamo!»

Aperta la botola e scesi alcuni polverosi gradini, i due si ritrovarono in una piccolissima stanza con delle apparecchiature simili a dei computer.

«Ma…» balbettò Jason.
«Tranquillo, quando tutto sarà finito ti spiegherò quello che vorrai sapere» disse Kevin anticipando le domande del ragazzo.
«Allora, dovrebbe essere questo» disse mentre si posizionava davanti a uno degli strani apparecchi che riempivano la stanza. «Sì, c’è tutto.»
«Cosa sta facendo?» chiese Jason inerme.
«Pongo fine a questo massacro.» A quel punto Kevin premette un pulsante rosso sulla tastiera di fronte a lui. Per un attimo Kevin fece silenzio intento a sentire ogni più piccolo rumore proveniente dalla strada.

«Usciamo a controllare» disse calmo Kevin. Prese per il braccio Jason e uscirono fuori dal negozio. Tutto sembrava essere tornato alla normalità. I rumori delle esplosioni erano sparite. Quel che rimaneva della città erano solo macerie e decine di cadaveri mutilati per le strade.

«È tutto finito…» sospirò Jason.
«Sì» affermò Kevin soddisfatto. «Purtroppo però abbiamo avuto numerose vittime.»
Jason pensò ai suoi genitori, che probabilmente erano stati i primi a cadere in quell'assurdo massacro di massa.
«Ora può spiegarmi cosa diavolo è successo?» chiese Jason asciugandosi una lacrima sul volto.
«Certo» rispose Kevin. «Devi sapere che io non sono un negoziante. Lavoro per i progetti speciali dell’Area51. Sono un agente segreto.»
Jason ascoltava incredulo quello che diceva il vecchio signore.

«Mi hanno mandato qui per fare degli esperimenti» continuò. «Ogni anno viene scelta una città per condurre questi studi segreti.»
«Su cosa vengono fatti gli esperimenti?» chiese il ragazzo sempre più incuriosito.
«Sicuramente ti sembrerà strano, ma tu sei il soggetto del mio studio» rispose secco Kevin.
«Cosa?» chiese incredulo Jason. «Io? Intende dire che era tutto stato programmato da lei? Molte persone sono morte oggi! Probabilmente anche i miei genitori!» esclamò furioso.
«Stà tranquillo» rispose lui. «I tuoi stanno bene. Preserviamo sempre la famiglia del soggetto. Sono stati allontanati da casa la notte prima.»
Jason si sentì enormemente sollevato da quella notizia. Ormai si era quasi convinto che i suoi genitori fossero morti.

«Ma qual è lo scopo dell’esperimento?» chiese Jason mentre seguiva Kevin in una strada che ricordava essere senza uscita.
«Te lo spiegherò in due parole: studiamo il comportamento di semplici ragazzi in situazioni molto critiche, come quella creata da noi oggi.»
«Ma come hanno fatto quegli oggetti a prendere vita?» chiese, aveva mille altre domande che gli si accavallavano in testa.
«È uno dei progetti segreti dell’Area51» rispose lui. «Quello era un guscio alieno, con dei poteri fuori dalla nostra immaginazione. Naturalmente era completamente controllabile.»
Ora Jason capì la funzione che avevano gli strani macchinari nello scantinato sotto la bottega di Kevin.

«Capisco» disse Jason. «Ma in realtà ancora una cosa non mi è chiara: perché vi serve conoscere il comportamento di ragazzi come me in queste situazioni?»
«Mi aspettavo questa domanda» disse. «La risposta è molto semplice: perché chi supera il nostro test può iniziare a lavorare per noi. Abbiamo bisogno di nuove leve in Agenzia.»
«Come?» chiese il ragazzino incredulo. «Lavorare per voi? E per fare cosa?»
«Missioni segrete. Nello spazio» disse lui con tutta la calma del mondo.
Jason non sapeva se Kevin lo stesse prendendo in giro. Dal suo tono serio sembrava proprio di no.

«Siamo arrivati» disse soddisfatto Kevin.
Jason si accorse solo allora di aver seguito il signore fino ad uno spiazzo situato dietro un enorme casolare. Proprio nel bel mezzo dell’enorme spiazzo, il ragazzo notò una piccola rampa di lancio ed una piccola nave spaziale come quelle dei cartoni animati.
A quel punto Kevin afferrò Jason per un braccio e lo gettò con forza all’interno del piccolo abitacolo, progettato proprio per un ragazzo della sua età.

«Ah, se te lo stessi chiedendo» disse Kevin fuori dall’abitacolo «tu hai superato la prova!»
Jason sentì abbastanza chiaramente quello che gli aveva detto il signore, pur essendo separati da un vetro molto spesso. Vedeva in faccia Kevin e si chiedeva cosa stesse succedendo. Un conto alla rovescia iniziò a risuonare nello spiazzo, talmente forte che anche Jason sentiva il conteggio.



«Conto alla rovescia iniziato… diciannove... diciotto...» una voce metallica scandiva il conto alla rovescia.

«Ma dove mi sta mandando?» chiese disperato Jason, agitandosi all'interno del piccolo abitacolo. «Qual è la mia missione?»
«Sei fortunato Jason» disse Kevin controllando alcune apparecchiature al di fuori della piccola navicella. «Gli altri non sono stati tanto fortunati. Comunque la tua missione è semplice: farci capire la minima distanza alla quale un ragazzo muore mentre si avvicina al sole!»

Allora il ragazzo realizzò tutto: la società per la quale Kevin lavorava non conduceva esperimenti, bensì reclutava le migliori cavie possibili per folli studi criminosi.

«Nove… Otto… Sette…. Sei… Cinque… Quattro…» il conteggio procedeva inesorabile e Jason si rassegnò al suo triste destino.

«Tre… Due… Uno…»

Tutt'a un tratto calò il silenzio nello spiazzale.

In un istante, i motori si accesero e Jason partì per la sua prima ed ultima missione.